Manifesti elettorali del PD alle elezioni politiche 2022: cosa ha funzionato e cosa no

Dino Amenduni
9 min readSep 27, 2022

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Premesse

a. Chi scrive è un socio e consulente politico dell’agenzia di comunicazione Proforma, che ha curato gli elementi di creatività legata ai due soggetti principali della campagna di comunicazione del Partito Democratico per le elezioni politiche del 25 settembre (le campagne ‘Vincono le Idee’ e ‘Scegli’). Non ci siamo occupati di nessun altro aspetto della campagna di comunicazione.

b. Questo post intende spiegare la natura del nostro lavoro e analizzarne l’efficacia post-hoc. In questa sede non troverete valutazioni né sul resto delle azioni della campagna (sarebbe inopportuno) né sulle decisioni politiche (che non sono — com’è giusto che sia — di nostra competenza, dato che faccio parte di un’agenzia di comunicazione e non di un partito). Nel paragrafo relativo all’analisi di scenario farò alcune valutazioni che avranno coloriture politiche, ma solo perché necessarie a spiegare il rapporto tra la natura della legge elettorale e le conseguenze in termini di alleanze e probabilità di vittoria.

c. Questo non vuol dire che non parlerò della campagna elettorale da un punto di vista politico, ma lo farò più avanti e in altre sedi. Scrivo questo post, dunque, con due specifiche finalità: 1. dare spiegazioni e così assumere una parte di responsabilità per la sconfitta (lascio stabilirne le proporzioni a chi legge). Metterci la faccia quando si vince e nasconderla quando si perde non è rispettoso nei confronti dei propri clienti (che hanno pari dignità a prescindere dal risultato finale) e dell’opinione pubblica in generale; 2. creare una sorta di transizione tra il mio ruolo di ‘tecnico embedded’ e quello di osservatore indipendente, che riprenderò non appena spingerò ‘Invio’ sul tasto ‘Pubblica’ di questo post. In questi due mesi, com’è accaduto quando sono stato impegnato in campagna elettorale negli ultimi anni, mi sono astenuto da qualsiasi valutazione pubblica, online e offline, ho rifiutato richieste di interviste o di dibattiti. Ritengo questa scelta una forma di rispetto nei confronti di chi mi legge/ascolta, che può così sapere quando l’agenzia di cui sono socio è a libro paga di un qualche cliente politico (e ciò rende poco professionale l’espressione della mia opinione) e che allo stesso tempo può sapere che, quando ho qualcosa da dire, non è condizionata da interessi poco trasparenti o sottaciuti. Prima di tornare ‘dall’altra parte’, mi sembrava sensato scrivere questo post e non ricominciare a scrivere analisi facendo finta di nulla.

Lo scenario

La situazione di partenza

La campagna elettorale è iniziata improvvisamente dopo il 20 luglio, giorno delle dimissioni di Mario Draghi, ed è dunque durata poco più di due mesi (di cui uno era agosto).

A cavallo di questo accadimento, i sondaggi erano i seguenti:

Supermedia Youtrend per AGI, 14 e 28 luglio 2022

Come potete notare, questi numeri non sono molto diversi rispetto a quelli restituiti dalle urne il 25 settembre. Gli scostamenti sono nell’ordine di (massimo) 4-5 punti percentuali. Ciò porta a due considerazioni che io ritengo decisive se si vuole fare una valutazione equilibrata sull’impatto generale della comunicazione politica sui risultati finali di questa campagna elettorale (spoiler: secondo me è stato molto basso):

  1. La coalizione di centrodestra viaggiava già su percentuali ben superiori al 42%, il che (secondo la stragrande maggioranza delle simulazioni sui collegi uninominali che sono state rese note in queste settimane) la rendeva sostanzialmente certa della vittoria finale nel momento stesso in cui è stata ritirata la fiducia al governo Draghi, anche considerando la scomposizione del quadro delle forze politiche alternative (che infatti non sono riuscite, in buona sostanza, ad allearsi tra loro);
  2. Gli scostamenti nelle percentuali tra luglio e settembre sono stati significativi ma sono in ogni caso di gran lunga inferiori rispetto agli stravolgimenti a cui abbiamo assistito negli ultimi due mesi di buona parte delle campagne elettorali recenti per le elezioni politiche (la rimonta quasi decisiva di Berlusconi su Prodi nel 2006; il pareggio del 2013, la grande affermazione del M5S nel 2018) e anche nelle ultime due elezioni europee (il 40.8% del PD di Renzi nel 2014, il 34% della Lega di Salvini nel 2019).

In sintesi: l’esito della campagna elettorale, al netto della spettacolarizzazione del suo racconto, non è mai stato realmente in discussione.

Parlando con amici e familiari avevo sin da subito attribuito le percentuali di vittoria del centrosinistra intorno all’1%, prima ancora di iniziare questo lavoro. E affermavo ciò senza sapere come la campagna elettorale sarebbe andata e di certo senza pregiudizi nei confronti dei partiti del centrosinistra (di cui sono un elettore storico), ma per una mera questione matematica, aggravata dal pochissimo tempo a disposizione per recuperare consenso.

Questo, chiaramente, non vuol dire che non bisognasse almeno provarci.

Come interpretare la legge elettorale

Davanti a una coalizione di centrodestra stimata intorno al 45–46% dei consensi già a fine luglio, esistevano due strade profondamente diverse per provare un disperato tentativo di riaprire la partita.

  1. Aggredire la parte maggioritaria della legge elettorale, e cioè cercare di costruire la coalizione più larga possibile per provare a diventare competitivi nei collegi uninominali, sacrificando così una parte del consenso del proprio partito (nb. in politica la somma non fa mai il totale: il M5S non avrebbe raggiunto il 15% dei consensi se si fosse alleato col PD ma sarebbe andato molto peggio, giusto per fare un esempio di immediata comprensione);
  2. Aggredire la parte proporzionale della legge elettorale, e cioè non cercare alcun accordo elettorale, andando ognuno per sé e concordando una sorta di ‘desistenza comunicativa’: ognuno fa la sua proposta politica, ognuno con la sua identità prova a massimizzare il proprio consenso di lista, evitando gli attacchi incrociati e concentrandosi sul ridurre la percentuale di coalizione del centrodestra per provare così a compensare il loro sicuro (a quel punto) successo nella parte maggioritaria.

Le cose, rispetto a questo scenario, sono forse andate nel peggior modo possibile: la larga coalizione non c’è stata (per responsabilità politiche che saranno oggetto di lunghe discussioni anche nei prossimi mesi e che non sono oggetto di questa analisi), ma non c’è stata nemmeno la corsa solitaria di tutti i partiti; si è infatti formata una mini-coalizione di centrosinistra. Questa configurazione ha reso virtualmente impossibile la vittoria e questa consapevolezza ha poi portato via via a un crescente tasso di conflittualità interna al campo alternativo alla destra, con l’obiettivo di raggiungere il miglior risultato di lista possibile per sé stessi (non potendo più ambire ad altro).

La campagna ‘Vincono le idee’

Per costruire un messaggio elettorale efficace è necessario conoscere il quadro politico nel modo più definito possibile. Tradotto in termini pratici: una campagna per il PD in corsa solitaria è diverso da un messaggio per un partito in un’alleanza larghissima, ed è ancora diverso rispetto al messaggio adatto per un partito dentro un’alleanza più piccola. Di solito funziona così: una volta definito il quadro delle alleanze (e dunque degli avversari), si lavora sul messaggio elettorale principale.

In questo caso ciò non è stato possibile. Il periodo intercorso tra la caduta del governo Draghi (20 luglio) e il divieto di acquistare spazi politici sull’affissionistica statica (per intenderci: i formati che vediamo in giro per le città e per le strade e utilizzati con fini pubblicitari. Per la politica si possono acquistare fino al 30imo giorno prima del voto, cioè fino al 25 agosto) è stato di 36 giorni in tutto.

In questo intervallo di tempo bisognava: individuare il fornitore (in questo caso Proforma) per realizzare i manifesti, lavorare sulla creatività, approvarla, comprare gli spazi pubblicitari, stampare le affissioni, tenerle su per il tempo necessario perché fossero “percepite” dagli elettori (di solito gli spazi si comprano a intervalli temporali di 14 giorni proprio per questo motivo).

Questa corsa è iniziata senza preavviso (in pochi scommettevano su una caduta del governo Draghi lo scorso 20 luglio), in piena estate e soprattutto tutto ciò è avvenuto in contemporanea con la definizione politica del quadro delle alleanze. Non c’è stato, dunque, il meccanismo ‘prima la politica, poi le scelte di comunicazione’, ma le scelte di comunicazione andavano fatte quasi ‘a prescindere’ dalla politica, proprio a causa dei tempi iper-compressi, e in un contesto politico sconvolto dalle elezioni anticipate (e dalle ragioni per cui ci si è arrivati).

Per questo motivo abbiamo provato a lavorare sull’unica soluzione che ci sembrava sostenibile: una campagna con cui il PD si posizionava attraverso i principali elementi del proprio programma. Era una scelta che infatti poteva andar bene a prescindere dalle scelte politiche che poi sarebbero state prese: tutti i contenuti erano infatti presenti nel programma politico del Partito Democratico per queste elezioni e sarebbero stati portati avanti a prescindere dal tipo di accordi che sarebbero poi stati stretti.

Uno dei soggetti della campagna ‘Vincono le idee’. Qui tutti gli altri manifesti

Durante le settimane a cavallo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, in cui questa campagna è stata presentata e poi distribuita, il PD aveva un leggero trend positivo nei sondaggi (come mostrato anche nella tabella Youtrend del paragrafo precedente); in quel momento era dunque ragionevole immaginare di poter inseguire l’obiettivo di diventare il partito più votato, a prescindere da come sarebbe poi andata la partita delle alleanze.

La campagna ‘Scegli’

‘Vincono le idee’ era una campagna efficace ma solo come primo passo di un percorso che doveva a un certo punto sfociare in un messaggio più emotivo e diretto, di ‘sintesi valoriale’ di ciò che il PD intendeva esprimere. Mentre il Partito Democratico era presente sulle plance con questi messaggi, Fratelli d’Italia, la Lega e Forza Italia avevano scelto la strategia opposta: volto dei leader, slogan semplici, minore attenzione ai programmi.

Eravamo consapevoli sin da subito che a un certo punto avremmo dovuto immaginare una ‘fase 2’ della campagna elettorale. Il messaggio di questa ‘fase 2’ non poteva però sfuggire alla definizione del quadro politico. Tornando al ragionamento che si faceva prima (e semplificando un po’): un PD che corre da solo cercando di ottenere il massimo risultato di lista possibile per massimizzare i risultati nella parte proporzionale della legge elettorale avrebbe dovuto puntare su un messaggio identitario, mentre un PD che fa da perno di una coalizione avrebbe dovuto esasperare la dimensione della sfida a due per cercare di massimizzare il risultato nella parte maggioritaria della legge elettorale (cioè nella sfida per i collegi uninominali).

Il PD, com’è noto, ha cercato di perseguire questa seconda strada e noi abbiamo dunque lavorato in maniera conseguente. Da questa riflessione è nata la campagna ‘Scegli’.

Uno dei soggetti della campagna ‘Scegli’. Qui tutti gli altri manifesti

In questo caso ci siamo mossi in confini ancora più stringenti rispetto alla prima parte della campagna: bisognava infatti cercare una soluzione che tenesse insieme la polarizzazione (funzionale a cercare di essere più competitivi nel maggioritario e cercare di attirare una quota di voto utile alla coalizione guidata dal PD) con la personalizzazione, utile a mantenere la parte identitaria del voto al PD, senza però avere il tempo (eravamo già in pieno agosto, a 40 giorni dal voto) per sviluppare queste due fasi in due momenti distinti della campagna.

La situazione, già estremamente complicata dal punto di vista della comunicazione, si è trasformata nella ‘tempesta perfetta’ dopo la rottura tra il PD e Azione, che ha immediatamente restituito la percezione che le possibilità del centrosinistra di essere competitivo nei collegi uninominali fossero prossime allo zero. Questa circostanza ha fortemente depotenziato la strategia della polarizzazione, e dunque la conseguente campagna di comunicazione: non essendoci (più) una reale competizione tra centrosinistra e centrodestra per la sfida nei collegi, il richiamo al voto utile ha perso via via il suo appeal e così il voto alternativo alla destra ha sempre più seguito logiche diverse, più guidate dal voto di opinione puro che dal voto utile rispetto alla legge elettorale.

La campagna, però, era già stata lanciata, e il suo senso non era del tutto scomparso, essendoci comunque una coalizione (pur piccola), guidata dal PD. Ma gli effetti benefici del ragionamento iniziale erano comunque quasi del tutto svaniti, essendo cambiate le condizioni politiche che lo avevano ispirato, e in ogni caso sarebbe stato tardivo (e quindi controproducente) cambiare il messaggio per la terza volta nel giro di poco più di un mese, a maggior ragione dopo uno strappo politico. I sondaggi, non casualmente, hanno iniziato a peggiorare proprio dopo la prima decade di agosto, portando poi il PD al risultato finale del 19% alle elezioni politiche, ben al di sotto delle speranze della vigilia.

Concludo questo post ringraziando pubblicamente Enrico Letta e il suo staff per la fiducia che ci è stata accordata e per il lavoro fatto insieme in questi mesi, avvenuto probabilmente nel contesto più estremo mai sperimentato da quando faccio questo lavoro.

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Dino Amenduni

Socio, comunicatore politico e pianificatore strategico dell’agenzia di comunicazione Proforma (www.proformaweb.it)