Elezioni amministrative 2022: analisi del voto

Dino Amenduni
4 min readJun 14, 2022
Prima pagina del Corriere della Sera di oggi, martedì 14 giugno. Come spesso accade in questi casi, hanno vinto quasi tutti.

Premessa di metodo, da rifare tutte le volte perché i media continuano a far finta che non sia così: più il livello del voto è micro (comunali, ancor di più comunali in centri medio-piccoli), più il voto locale NON rappresenta un elemento di correlazione diretta con le tendenze di voto nazionale. La tornata di Amministrative l’anno prima delle politiche, la più “scarica” dal punto di vista dei grandi comuni al voto, non può fare eccezione. Oggi quasi tutti dichiarano di aver vinto e sono le stesse persone che dicono agli altri che hanno perso: un modesto consiglio: saltate queste dichiarazioni a piedi pari.

Fatta questa premessa e messi da parte gli assoluti, metto sul tavolo un po’ di linee di tendenza (che da qui al 2023 potrebbero essere confermate o smentite, semicit. di un noto programma di cucina)

(nb. qui trovate i dati di tutti gli scrutini)

1. L’unico dato parzialmente sovrapponibile col livello nazionale è il sostanziale ritorno di uno schema bipolare, centrosinistra contro centrodestra (in un mondo, quello delle amministrative e soprattutto al sud, in cui comunque questo schematismo viene messo a dura prova dalla composizione delle sempre più frequenti liste civiche). Chiaramente basterebbe un ritorno al proporzionale per dover rivedere anche queso assunto.

2. La Lega si fa superare in buona parte d’Italia da Fratelli d’Italia (elemento già ampiamente certificato dal trend dei sondaggi degli ultimi mesi) e il MoVimento5Stelle continua a non riuscire a fare l’uovo alle elezioni comunali (elemento già ampiamente certificato dalle batoste degli ultimi anni). Sono due partiti uniti, in questo periodo, da un paradossale punto di congiunzione: la rottura della catena nel rapporto col territorio. Per la Lega: quando Salvini si è fatto ingolosire dal dato delle elezioni europee del 2019 (altra cosa che non bisognerebbe mai fare trattandosi di un voto per definizione “distante” per gli italiani e per giunta con una legge elettorale proporzionale) ha ritenuto di poter trasformare il proprio partito da ‘leninista’ a ‘personale’ e questi, alla lunga, sono i risultati. Per il M5S: la catena non è mai esistita. Il successo del partito è sempre dipeso dall’efficacia del brand/logo. Quando tirava, non era nemmeno importante chi ci fosse nelle liste elettorali; figuriamoci quanto possa esserlo adesso. Il Governo Conte 1, se ci pensate, è nato anche sulla forza di questa illusione: che il brand (e dunque la comunicazione) fosse sufficiente a reggere politicamente. Era, è, e sarà sempre una fesseria. Lega e M5S dunque perdono le elezioni non tanto perché sono in difficoltà a livello nazionale ma perché non hanno coltivato classe dirigente competitiva a livello locale (poi un giorno forse si capirà che le due cose non sono in realtà scindibili, ma fino a quando nasceranno tutti questi partiti personali ci si illuderà del contrario).

2b. qui servirebbe un’analisi dei flussi (quindi questo punto sarebbe da verificare nei prossimi giorni) ma non mi stupirei se l’ulteriore aumento dell’astensione dipendesse da voti in uscita proprio da questi due partiti, piuttosto che da uno spostamento dal M5S ad ‘altrove nel centrosinistra’ e dalla Lega a Fratelli d’Italia, il che ridimensionerebbe ulteriormente il solito ‘abbiamo vinto’ che stiamo ascoltando a reti quasi unificate in queste ore.

3. Per il terzo anno consecutivo si conferma una buona performance da parte degli amministratori uscenti, che in molti casi vincono al primo turno. Succede a Genova, a Padova, a L’Aquila. Succede, clamorosamente, anche a Taranto, con Melucci che era stato sfiduciato dalla sua maggioranza sette mesi fa, si è ricandidato e ha vinto con oltre il 60%. Nell’era della guerra e della pandemia (e dunque dell’incertezza come tratto costitutivo dell’esistenza) “l’usato sicuro” torna a essere attrattivo come lo era prima dell’affermazione del MoVimento5Stelle.

3b. l’usato sicuro è ben diverso dall’usato da rottamare. Chi fa politica da tanti anni e prova a tornare sul proprio territorio per ricostruire una carriera rischia moltissimo (e fa rischiare moltissimo le coalizioni che lo sostengono) se non ha un consenso personale molto forte. Il centrosinistra a L’Aquila, per esempio, è arrivato terzo con il 22% dei voti. Se da un lato chi è in carica oggi rassicura, la retorica del ‘nuovo’ contro ‘il vecchio’ in (comunicazione) politica continua ad avere sempre un discreto fascino.

4. Dove non hanno corso amministratori uscenti sembra, al contrario, che il rapporto col passato sia sostanzialmente residuale. Sono pochi, infatti, i luoghi in cui è stata confermata una tradizione politica pluriennale o al contrario quelli in cui si è scelto di voltare pagina. Gli elettori hanno valutato l’offerta politica e si sono basati su quella.

5. L’elezione più freak e dunque più interessante, perché mette in crisi molti di questi assunti (a conferma che il dato amministrativo è quanto di più sfuggente ci possa essere), è quella di Verona. Qui l’uscente non solo non viene rieletto ma arriva secondo. In questi anni la città è stata raccontata come un inespugnabile fortino ‘nero’ e invece al primo turno è avanti Damiano Tommasi, alla sua prima esperienza politica e con una candidatura decisamente civica, anche a causa della sua biografia. Tommasi è forte anche a causa delle debolezze altrui (è difficile dire come sarebbe andata se il centrodestra non si fosse spaccato, ma se si è spaccato un motivo c’è); in ogni caso è lì per provare a scompaginare tutto. Sarà dura, ma se la gioca, e questa è già una notiziona.

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Dino Amenduni

Socio, comunicatore politico e pianificatore strategico dell’agenzia di comunicazione Proforma (www.proformaweb.it)