Covid-19: in Italia è tornata l’infodemia

Dino Amenduni
6 min readDec 28, 2021
Prima pagina de Il Giornale, 28 dicembre 2021
Prima pagina de Il Messaggero, 28 dicembre 2021
Corriere della Sera (Roma), 28 dicembre 2021

Qui Bari.

È quasi impossibile interagire con persone che non abbiano una quarantena in corso, e/o conoscenti/amicizie/familiari positivi al Covid.

La situazione potrebbe anche peggiorare nei prossimi giorni; di sicuro per fare un tampone molecolare servono tempo, pazienza e soldi. E talvolta nemmeno bastano.

È forse uno dei due o tre periodi emotivamente più complicati di questa pandemia (per non parlare della situazione sanitaria vera e propria) ed è anche uno dei momenti in cui l’infodemia, cioè l’esposizione a informazioni teoricamente qualificate ma tra di loro del tutto contraddittorie, sta tornando a spirare forte. Così forte che mi viene quasi il sospetto che ci sia quasi un rapporto beffardo di proporzionalità inversa: più ci sarebbe bisogno di informazioni e sopratutto di decisioni chiare da parte delle istituzioni e dei media, meno si capisce qualcosa.

Più aumenta la complessità e più si lascia il campo alle opinioni, a discapito di quelle poche certezze su cui si potrebbe fare affidamento in questo periodo.

In questi ultimi dieci giorni le prime pagine dei quotidiani, che in buona parte si trovano a riflettere le indiscrezioni su ciò che il Governo sta valutando di fare, più le voci di chi dovrebbe aiutare il Governo a decidere, sembrano schizofreniche.

Oggi, in particolare, il mondo sembrava spaccato in due. Da un lato si ragionava della riduzione delle restrizioni per i vaccinati in caso di quarantena, dall’altro di code di ore per i tamponi e nuove richieste di obbligo vaccinale.

Questa confusione è ulteriormente acuita da tre elementi che per ora si dicono solo a mezza bocca:

1. La seconda dose di vaccino crolla per efficacia dopo cinque mesi dall’inoculazione

Per un anno si è detto che due dosi di vaccino avrebbero rappresentato un buon lasciapassare per ‘il ritorno alla normalità’ (e si affermava ciò anche per motivare le persone a vaccinarsi), la verità è che nessun* poteva dirlo con certezza perché la scienza sta esplorando un territorio ignoto, in cui si acquisiscono nuove informazioni ogni giorno. Tornando al dato pratico: chi non ha la terza dose ed è stato vaccinat* prima di agosto rischia certamente meno di una persona non vaccinata ed è meno espost* alle conseguenze più gravi del Covid, ma è ben lontan* dall’essere al sicuro.

Questa considerazione dovrebbe portare ad aumentare in modo significativo la velocità di somministrazione della terza dose e anche già a pianificare la campagna per la quarta dose in modo che sia prenotabile a 4–5 mesi dalla terza, ma evidentemente non è qualcosa che si possa organizzare dal giorno alla notte. Ci sono ancora circa sei milioni di persone in Italia di età superiore ai 12 anni con zero dosi di vaccino, tra l’altro.

nb. il crollo dell’efficacia riguarda la protezione dal contagio, non dalle forme più severe della malattia.

2. I tamponi rapidi sono assai meno affidabili dei molecolari

Anche qui: per mesi si è chiesto agli italiani di fare tamponi ogniqualvolta si era esposti a una catena di contagio. E gli italiani stanno eseguendo: alcuni per evitare di vaccinarsi, altri per autotutela. In questi giorni stanno però esplodendo due contraddizioni: da un lato ci sono code chilometriche davanti alle farmacie (mentre si chiede di evitare assembramenti), dall’altro lato si accumulano casi di falsa negatività, cioè di persone che fanno un tampone rapido perché è stato detto che tutto sommato andava bene, risultano negativi, continuano a fare la loro vita e nel frattempo mettono a rischio se stessi e il prossimo in perfetta buona fede. In questi ultimi giorni un bel po’ di personaggi famosi (Jovanotti, i Ferragnez) hanno raccontato esattamente questo: tamponi rapidi giornalieri negativi, molecolare positivo. I molecolari sono molto più difficili da trovare, i centri che li processano sono molto di meno, sono molto più costosi dei rapidi e i prezzi sono tutto fuorché calmierati. In tutto questo, oggi sui quotidiani c’era più di qualcun* che chiedeva agli italiani vaccinati di fare meno tamponi, come se la vaccinazione rappresentasse la certezza assoluta di non essere contagiat*.

3. Le mascherine FFP2 sono significativamente più sicure di tutte le altre

Anche in questo caso, tutto nasce da una comunicazione ‘leggera’. È stato detto che bastasse ‘una mascherina’ per proteggersi. Certo, le statistiche sul grado di efficacia di ciascuna tecnologia sono sempre state disponibili, ma è stata lasciata piena libertà di scelta ai cittadini e alle cittadine. Io in primis ho comprato le mie prime FFP2 solo la settimana scorsa, dopo che è stato imposto l’obbligo di utilizzo di questo genere di tecnologia per accedere ai mezzi pubblici o al cinema. Oggi il Governo, basandosi su dati scientifici, ha stabilito un criterio. Ma serve tempo perché milioni di italiani modifichino un comportamento consolidato, peraltro consolidato sulla base di ciò che è stato detto loro da istituzioni e media.

Quindi, ricapitolando:

a. la doppia vaccinazione potrebbe non bastare dopo che per un anno è stata raccontata come una sorta di salvezza;

b. i tamponi rapidi potrebbero non essere sufficienti dopo che per un anno è stato raccontato che potevano bastare (e tuttora sono considerati sufficienti in molte circostanze qualificanti, per esempio per prendere un aereo internazionale);

c. le mascherine di stoffa o chirurgiche potrebbero non bastare dopo che per un anno è stato detto (mi scuso per la grezza semplificazione) ‘è importante la mascherina, una qualsiasi’.

Davanti a tutto ciò si palesano due rischi enormi:

a. non solo i comportamenti palesemente irresponsabili possono favorire l’avanzata del virus, ma anche scelte individuali basate su ciò che è stato comunicato sinora al grande pubblico;

b. davanti a questo ulteriore cambiamento del quadro, potrebbe legittimamente sorgere un dubbio nella popolazione: “perché dovrei fidarmi di ciò che mi viene raccontato?”

Il secondo rischio fa da battistrada all’infodemia, cioè al fatto che, davanti al ritorno all’incertezza assoluta, ognun* si costruisce la propria personale verità, prendendo a scelta il pezzo di provvedimento o il virgolettato di personale qualificato che più si addice alle proprie convinzioni personali, con la conseguenza di che ciascun* potrebbe tornare a fare a modo suo, che è il contrario di ciò che sarebbe auspicabile durante un’emergenza di salute pubblica.

Questo vuol dire che esiste ‘troppa democrazia nella comunicazione istituzionale’, come affermato da alcuni autorevoli politici e come sento dire sempre più spesso sui media? Assolutamente no, continua a essere vero il contrario. Serve sempre più democrazia nella comunicazione istituzionale, che potrei comunque riassumere in un principio che resta incrollabile in qualsiasi strategia di comunicazione di crisi: se uno scenario cambia, e quindi cambiano i comportamenti che è necessario adottare, è altrettanto necessario spiegare ai destinatari dei messaggi PERCHÉ sono cambiati, in modo da non perdere la fiducia degli interlocutori.

Su questo l’Italia continua a essere ampiamente deficitaria, forse per il solito vecchio adagio per cui bisogna trattare le persone come minus habentes, e per cui spiegare ogni cosa nel dettaglio sia una sostanziale perdita di tempo, oppure perché si teme che ogni cambiamento che porta con sé una spiegazione faccia perdere consenso.

Ma qui, davanti a 140mila morti e al rischio di altrettanti contagi al giorno nelle prossime settimane, sarebbe il caso di mettere (nuovamente, come quasi due anni fa) i ragionamenti sul consenso in ghiacciaia.

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Dino Amenduni

Socio, comunicatore politico e pianificatore strategico dell’agenzia di comunicazione Proforma (www.proformaweb.it)